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Fagus silvatica, il faggio europeo, raggiunge i 40 metri d’altezza.

Con piacere inizio una collaborazione mensile col caro amico Alessandro Mesini, dedicata agli alberi, che pubblica sul profilo Instagram le foto del suo giardino incantevole nel bosco che ho avuto il piacere di visitare. Grande appassionato di fotografia naturalistica ci delizia con i suoi scatti per documentare l’albero del quale ci parla e buona lettura, Francesco Diliddo.

Alessandro Mesini, Alex, vive nell’Appennino Modenese dove per passione coltiva lo spazio non recintato che si trova fra la porta di casa e il bosco senza la pretesa che possa essere un giardino, ma solo un luogo di possibile ristoro. Da un quarto di secolo scrive per riviste di giardinaggio e da cinque anni tiene la rubrica “I lavori del bosco” sulla rivista Gardenia. È nello staff organizzativo delle mostre di giardinaggio di qualità di Lucca: Verdemura e Murabilia.

Il faggio è l’essenza forestale più comune dell’Europa centrale, nel nostro paese forma grandi boschi sulle Alpi, specie Alpi Orientali e Alpi Giulie, e sull’Appennino, dalla Liguria fino in Sicilia, eppure pochi lo conoscono perché è pianta tipica della fascia montana e di rado si spinge verso la collina dove resistono colonie isolate e di solito sparute. Distrutto nel passato da progetti insensati di silvicoltura, poi spesso abbandonati, che ne prevedevano la sostituzione con abeti rossi, oggi il faggio ha ripreso importanza.

Una volta imparato a riconoscerlo, diventa una presenza grata. Una volta che è entrato a far parte della nostra cerchia, si cerca di capirne la storia osservandone ferite e struttura. Una volta che si è familiarizzato, è impossibile non passare la mano sulla corteccia piacevole al tocco.

Il faggio è un albero maestoso, di grande carattere, che nel bosco spicca su tutti gli altri relegando ai margini frassini, aceri, sorbi, castagni, impedendo anche alle conifere di allargare i loro areali e di crescere sotto le loro grandi chiome che nel bosco creano una volta continua, ombrosa, ma sempre ricca di luce, di sprazzi di cielo, di caldi colori autunnali.

Durante l’inverno la caduta delle foglie più che privare la pianta ne rivela la splendida struttura, il fusto diritto e potente, i rami principali che sorreggono l’intera trama delle branche minori, armoniosa e misurata.

Fagus silvatica, il faggio europeo, raggiunge i 40 metri d’altezza, se non è stato spezzato da incidenti o avversità climatiche, comuni in alta montagna, ha un fusto principale diritto, leggermente più largo al piede, che si restringe verso la sommità in modo graduale. I rami, portati prima orizzontalmente, sono di sezione leggermente appiattita. La corteccia è di colore grigio cenere, liscia e piacevole al tatto, talvolta con alcune piccole increspature come se si trattasse di un tessuto arricciato.

Nei terreni declivi il pedale della pianta tende a scoprirsi quando si tratta di soggetti vecchi e l’azione di dilavamento del terreno rivela le prime robuste radici. Il legno è chiaro, compatto, omogeneo e pesante, ma dotato di grandi caratteristiche. Basti pensare che le galere romane (grandi navi da combattimento) si muovevano sotto la spinta di remi ottenuti da tronchi di faggi cresciuti in montagna, precisamente nella zona dell’Abetone, fra Emilia e Toscana, dove appunto correva la “Via dei remi”. È anche un ottimo combustibile.

Le foglie sono di forma ovoidale, ma riconducibili ad un disegno di base romboidale. Hanno margine cigliato e non si parla di incisioni o dentature. Lucide nella pagina superiore, sono opache in quella inferiore, resistenti, quasi coriacee, si piegano al vento grazie al picciolo deformando poco la lamina. Le venature evidenti nella pagina inferiore, che gli conferiscono rigidità, si notano bene nelle foglie cadute. Sono lunghe da 4 a 9 cm. Le gemme, già pronte e ben visibili in autunno, sono affusolate ed appuntite. Prima di cadere non è raro che le foglie sviluppino galle.

La fioritura è poco appariscente mentre i frutti, chiamate faggiole, si notano già in fase di formazione per la particolare struttura. Si tratta di acheni racchiusi in una struttura spinosa, dapprima verde e coriacea, poi bruna e legnosa, spinescente, che a maturazione si apre. Ogni faggiola contiene due semi trigoni. Le faggiole sono cibo per gli animali selvatici, uccelli, piccoli roditori e mammiferi più grandi come i cinghiali, che le apprezzano perché ricche di olio. Un tempo erano raccolte e impiegate per la produzione di un valido sostituto di quello di oliva. Il loro sapore è gradevole e delicato, leggermente aromatico. Il nome faggio deriva con buona probabilità dal latino fagus a sua volta traduzione del greco phagò, mangiare, o bhag, dispensare, a sottolineare l’importanza di quest’albero fin dalle origini del genere umano.

In natura il faggio condivide la fascia più elevata occupata da querce e castagni, si mescola con aceri, frassini, carpini, maggiociondoli della varietà alpina, sorbo montano e dell’uccellatore, peri, meli e ciliegi selvatici, carpini neri, abeti bianchi, larici, cerri.

È pianta spiccatamente mesofila, pur essendo capace di adattarsi a condizioni proibitive per molte altre essenze forestali. Rifugge il caldo ed il freddo eccessivi. Teme i luoghi cupi ed ombrosi, ma preferisce zone con un’esposizione al sole solo parziale. Non sopporta i luoghi paludosi con ristagni d’acqua, ma anche i suoli aridi. Sulle pietraie, calde e assolate, a fine estate, come forma di adattamento, perde quasi tutte le foglie sembrando secco. In tal modo evita un’eccessiva evapotraspirazione fogliare ed entra in quiescenza anticipatamente per sopravvivere. Nei versanti esposti a nord, molto freddi e umidi, cresce con maggior lentezza perché il risveglio primaverile avviene più tardi e minore è la radiazione, tutti fattori che limitano la produzione di nuova sostanza organica e, quindi, la crescita. Al limite estremo della vegetazione cresce poco in altezza formando gruppi densi con diversi tronchi vicini che si proteggono l’un l’altro.

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